Per virtù del grande demone (che è l'amore)
attraverso lo spirito l'anima si congiunge al corpo,
attraverso l'anima si congiunge allo spirito
una forza più separata e divina,
e attraverso un numero più o meno
grande di enti intermedi
tutte le cose dell'universo sono connesse
e concatenate a tutte le altre.
(Giordano Bruno)
«L’Occidente sembra inorgoglirsi al pensiero che va soggiogando la natura, quasi noi vivessimo in un mondo ostile, ove tutto ciò che ci è necessario debba strapparsi alla malevolenza di un ordine di cose a noi avverso (…) Nella vita di città, l’uomo volge naturalmente tutta l’intensità della visione mentale sulla sua vita e le sue opere, e ciò genera un’artificiale dissociazione tra lui e la Natura universale nel cui grembo vive.
In India invece il punto di vista fu diverso: comprese l’uomo e il mondo in unico grande vero. L’indiano diede la massima importanza all’armonia esistente tra l’individuale e l’universale, intuì che non è possibile alcuna comunicazione con le cose che ci attorniano, se queste rimangono assolutamente estranee a noi. Per l’India il fatto importante è che noi siamo in armonia con la Natura; che l’uomo può pensare perché i suoi pensieri sono in armonia con le cose, che egli può servirsi delle forze di natura ai suoi fini solamente perché il suo potere è in armonia con il potere universale e che a lungo andare i suoi fini non vengono a urtare contro quelli a cui tende la Natura.», (Rabindranath Tagore).
La giovane artista tedesca Kerstin Schaefer è alla continua ricerca di quel filo invisibile, percepito solo da pochi, che unisce individuale e universale, uomo e natura nella grande danza della vita e dell’arte. Al di là di qualsiasi barriera spaziale o temporale, tra cultura Occidentale e Orientale, tutto il suo lavoro, pittorico e non, è nutrito da un profondo senso di appartenenza gioiosa a questo mondo, inteso come universo fatto di atomi e pensieri che muovono tutte le cose.
Incontro Kerstin nel suo atelier di Stoccarda circa un anno fa. La stanza è stracolma di lavori, tele, tavole, oggetti, tea e biscottini a forma di lettere. Lei si muove con disinvoltura tra le opere e con le opere, come in una di danza che la fa oscillare tra l’una e l’altra con movimenti tanto aggraziati quanto decisi. Immagino allora Kerstin immersa nei suoi quadri, nel momento in cui corpo, anima e spirito si congiungono ad una “forza più separata e divina” che è quella creativa. Tutta la sua gestualità coreutica si libera allora sul supporto pittorico, preferibilmente su una tavola che sorregge meglio la sua danza, trasportata da onde di colore. “Un mio lavoro è buono quando mi ci perdo dentro”, mi racconta, ed è proprio questa sensazione di smarrimento, inteso come estrema liberazione, a venir fuori con grande forza dalle sue opere. Il colore si distribuisce in pennellate corpose e veloci, dando vita a superfici vibranti, stratificate in forme discontinue, appena abbozzate, in un caos apparente che nasce dalla stessa armonia che lega insieme tutte le cose dell’universo. Ad uno sguardo disattento la pittura di Kerstin può apparire urlata, in realtà è un canto gioioso, recitato e cadenzato ad alta voce come un mantra. Come in questa pratica di meditazione orientale, infatti, le opere dell’artista sono spesso costellate di parole dal senso compiuto o no, lettere disarticolare o semplici sigle, ma che, unite all’immagine (come il mantra al suono), riescono a liberare più agevolmente i canali energetici che sostengono l’universo. Un’opera in particolare, “Iena” del 1999, alla quale l’artista è molto legata, rappresenta il potere ancestrale dell’arte capace di risvegliare gli istinti primordiali assopiti nell’uomo. La iena simboleggia, infatti, il legame ferino, originario, con la natura, fuori dagli schemi e dalle costrizioni, dalle gabbie e dalle regole in cui è invece costretto il cane, suo simile. Allo stesso modo nelle opere di Kerstin c’è un forte senso del sacro, fuori però dai dogmi e dentro le maglie più ampie di una spiritualità alta che unisce l’uomo all’universo.
Forme e parole indistintamente compongono allora un nuovo linguaggio, nuovo ma allo stesso tempo antico, sedimentato nel tempo come una scrittura sacra o un geroglifico. Ne viene fuori una ricchissima iconografia al limite tra il figurativo e l’astratto, percorsa da un’estrema vitalità gestuale e sostanziata da numerosi elementi simbolici come i maestosi uccelli antropomorfi discendenti dalla genealogia del Loplop ernsitano (Adler, 2005), o gli enigmatici equini con aureola di chagallliana memoria accostati a piatti di patate lesse appena uscite da un quadro di Cézanne (Kuckuck, 2007), nel flusso continuo e indistinto di sacro e profano, quotidiano e universale. Le tele di Kerstin vogliono stupire (Wow, 2008), perchè l’arte e la vita devono ancora suscitare stupore, al di là di quelle mura cittadine, di cui racconta Tagore, che soffocano in noi ogni istinto e ci appiattiscono in una routine senza senso, mentre l’universo continua comunque a girare, con o senza di noi. Trovarsi di fronte ad un’opera di Kerstin Schaefer vuol dire dunque prendere posto in prima fila nello spettacolo coinvolgente di una vita fatta di arte e vissuta intensamente per l’arte, sorretta da quell’energia universale che, come l’amore, tutto vince.
Valentina Di Miceli